Tutto ma non le albicocche.

Torta pasticciotto crema e amarena

E’ venerdì.

Ho preso una tazza di tè verde perché non mi piace quello che al bar vendono per “normale”, l’english breakfast diciamo. Con me ho una torta, un po’ crostata e un po’ pasticciotto. E’ piena di crema e ha tante amarene, mi piacciono molto le amarene. E’ nata da una mia voglia ben precisa e una certa esperienza di colazione fuori casa.

Molti vanno sul cornetto, qualcuno sulla brioche, altri si concedono un bignè, io cerco sempre una buona crostata fatta con il burro ma trovo delle cose freddine rimaste sole per troppo tempo, quelle che nessuno vuole ma stanno lì.

La crostata è per pochi, la frolla divide e ancor di più la confettura. La mangi con la forchetta da dolce, sono morsi che vanno piano piano, non come il solito croissant abbruttito che la gente si spara in bocca e butta giù con del caffe bruciato.

La crostata aspetta, un passo indietro al bendidio sbuffante di crema, panna montata e nutella. Richiede più pazienza ed è così che devi sceglierla, con calma. Diciamo che la cosa ottimale è averne tre o quattro davanti, io le voglio intere ma solo per pignoleria e perché la prima fetta è sempre la più buona.

Mi diverte – ok, diverte è una parola grossa ma tant’è che ho scelto “diverte” – l’idea di chiedere quali gusti ci siano, anche se so già cosa scegliere. E’ il banco di prova, è in quel momento che capisci chi hai di fronte.

Quando tutti sono presi da una colazione veloce prima del traffico, prima del lavoro e delle notifiche, puoi incontrare il ragazzo che passa dietro al bancone quasi per caso, lui normalmente sta alla cassa ma quando serve una mano c’è sempre, “perché che vuoi fare? è lavoro”, si affida ai post-it messi dal titolare sul ripiano della vetrinetta, legge cose che non conosce e poco importa che quei foglietti fossero lì da mesi e le crostate si spostano sempre. Allora finisce che hai pietà, solo perché ha 20 anni meno di te e ti ricordi di quella volta che annaspavi per fare bene quello che non ti piaceva, ma non c’era nessuno che ti dicesse “va bene quella lì”, con il ditino sul vetro per non sbagliare. Quella lì. Qualunque cosa sia e vada come vada.

A volte invece ti imbatti in una ragazza che va a braccio, come me al liceo che affrontavo d’istinto le versioni di latino e finivo in una roulette russa. Beh si sa, il colore della confettura è beffardo. Ciliegie, lamponi, frutti di bosco. Tutto può essere, chi può dirlo. Lo sai tu, lo sa lei, però a volte va bene così e ti affidi al caso.

Io sceglierei sempre ciliegie, sperando siano un po’ “brusche”. Evito come la peste l’albicocca.

La confettura di albicocca, quella industriale, è il demonio. Prima lo capirete, prima svolterete verso il livello superiore. Dolce, appiccicosa, lucida come sa esserlo solo la mela di Biancaneve. Non basteranno tutte le salviettine del bar – che sono comunque sempre inutili – rimarrà nelle mani, sarà lì come il vinavil.

In pasticceria, al bar, tutti i dolci, dolcetti con l’albicocca sono rimpinzati e straboccanti. Ma perché? Io voglio solo sapere perché. Gomblotto!

E’ sempre stato così, ne ho memoria dai miei sette anni. Io e la confettura di albicocche siamo lontane e diverse.

Le crostatine del Mulino Bianco entravano poco a casa mia, erano una vera epifania. Io le sognavo, sbavavo davanti alla TV, le volevo tanto e credo anche di aver pensato di chiederne due pacchi a Babbo Natale. Babbo Natale non può dirti di no, se lo chiedi col cuore. Le volevo per portarle a scuola, metterle nello zaino e trovarle sottiletta a merenda e poi la sorpresina!

Io volevo cioccolato ma niente, mia mamma tornava a casa con la confettura di albicocca. Deve aver pensato è meglio, è frutta.

Cribbio!

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